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Processo alle piante



L'iperico contro la depressione. La menta per il colon. L'echinacea per il raffreddore.  Sono decine i composti fitoterapici approvati dalla scienza. Che oggi sa dire quali guariscono e quali invece sono veleno
 
Al supermercato, in farmacia e parafarmacia, i prodotti a base di piante promettono miracoli di ogni genere. E l'Europa spende ogni anno circa 4 miliardi di euro solo per farmaci vegetali: capofila sono Germania, Francia e Italia. Secondo l'ultima statistica disponibile, redatta qualche anno fa dall'Istituto superiore di sanità con l'Istat, almeno il 5 per cento degli italiani ricorre alla fitoterapia, con un incremento del 90 per cento nel giro di una decina di anni prima. 

Le piante fanno davvero bene all'economia. Ma alla salute? Dipende. Come spiega Edzard Ernst, docente di medicine non convenzionali all'Università di Exeter (Gran Bretagna), in un editoriale pubblicato di recente sul 'Postgraduate Medical Journal', bisogna distinguere tre diversi tipi di prodotti: i fitoterapici veri e propri, in genere registrati come farmaci, i prodotti appartenenti alla categoria degli integratori alimentari e le preparazioni di erbe 'su misura' per il cliente. Ernst è coautore di 'Aghi, pozioni e massaggi. La verità sulla medicina alternativa' (Rizzoli), e sostiene che il ricorso alle piante ha senso solo nell'ambito della fitoterapia, che è una solida disciplina scientifica, con tanto di studi capaci di dirci se una pianta è efficace o meno per una certa condizione e quando può essere usata in tranquillità. Il resto è solo perdita di tempo e denaro e può anche essere rischioso.

Negli ultimi 20-30 anni, però, anche la medicina delle piante ha cominciato a seguire le regole della medicina scientifica, quella basata sulle prove, che impone di valutare la reale efficacia (e sicurezza) di un prodotto sulla base dei risultati di studi clinici controllati. E molti prodotti hanno avuto promozione piena.

Primo tra tutti l'iperico che, a sorpresa, ha convinto anche i talebani della Cochrane, il gruppo di scienziati indipendenti più rigoroso in materia, che conferma ciò che già altre revisioni sistematiche della letteratura (articoli in cui si analizza il complesso dei risultati ottenuti nelle singole sperimentazioni) e giunge a una 'sentenza' ragionevolmente definitiva: la pianta è efficace nella terapia della depressione lieve o moderata almeno quanto gli antidepressivi tradizionali, e con meno effetti collaterali.


Molte altre piante hanno superato la prova della sperimentazione clinica, candidandosi a integrare i farmaci tradizionali per una vasta serie di indicazioni. "Attenzione, però: stiamo parlando di sperimentazioni condotte con estratti purificati, standardizzati e spesso registrati come farmaci, molti dei quali hanno l'obbligo della prescrizione medica", precisa Fabio Fiorenzuoli, responsabile dell'Unità operativa di medicina naturale dell'Ospedale San Giuseppe di Empoli. Il discorso cambia completamente se si considerano gli integratori alimentari, le tisane o addirittura i miscugli comprati in Internet. 

Per esempio: se uno pensa di soffrire di una leggera depressione e decide di autocurarsi (il che per gli esperti è già una mossa sbagliata), sbaglia ad andare al supermercato per comprare l'iperico. "L'iperico, infatti, è un integratore alimentare e per legge non può contenere il principio attivo in dosi terapeutiche", mette in guardia Daniela Giachetti, presidente della Società italiana di fitoterapia. Altre volte, invece, succede il contrario. "Le specialità medicinali da banco con valeriana, indicata per l'insonnia, contengono di norma 50 milligrammi di principio attivo per compressa, mentre alcuni integratori ne contengono due, tre, quattro volte di più", racconta Firenzuoli. 

Quindi: il fatto che gli studi dicano che una certa pianta funziona, non significa che funzioni a qualunque condizione. Un po' come accade per certi alimenti che, a partire da risultati scientifici positivi, stanno assumendo lo status di toccasana, capaci di prevenire e curare malattie, come l'aglio, il tè verde o la soia. "Per funzionare come medicinali, questi alimenti devono essere assunti in modo particolare, in quantità ben precise o in estratti", sottolinea Fiorenzuoli: "Una tazza di tè verde al pomeriggio è gratificante e fa sicuramente meglio di una bevanda gassata zuccherata, ma da sola non serve a prevenire o a curare il cancro".
Oltre alla dimostrazione di efficacia, un altro tema che sta molto a cuore a chi si occupa di piante terapeutiche è quello della sicurezza. C'è infatti l'errata convinzione che il rimedio vegetale sia intrinsecamente sicuro in quanto naturale, ma non è affatto così. Il kava-kava, per esempio, è un ansiolitico e sedativo efficace, ma tra il 2000 e il 2002 è risultato associato, in alcuni paesi europei a diverse decine di casi di epatite, tra cui alcuni fulminanti. 

"Questo quadro potrebbe essere stato causato da alcune condizioni particolari come il tipo di estratto usato, l'associazione con alcol, il profilo genetico del paziente, ma di fatto il futuro terapeutico del kava-kava rimane incerto", spiega Fiorenzuoli. Per altre piante, come l'aristolochia e l'efedra, la tossicità è invece ampiamente dimostrata, al punto che molti paesi ne hanno vietato la vendita, benché si possano ancora trovare facilmente in Internet. 

Non solo: a preoccupare i farmacologi è anche la possibilità che i fitoterapici interagiscano con altri farmaci. L'iperico, per esempio, interferisce con moltissimi medicinali: antitumorali, anti-Aids, immunosoppressori, pillola contraccettiva, riducendone o annullandone l'efficacia. Se si assume iperico senza controllo si può vanificare l'effetto di eventuali terapie per altre patologie. "Altro rischio è l'uso improprio", avverte Giachetti: "L'iperico, ad esempio, funziona bene per le depressioni lievi e moderate, ma non per quelle gravi o per altre patologie psichiatriche".

Se la fitoterapia scientifica sembra quindi offrire molte opportunità, non va dimenticato che si tratta di un terreno accidentato. Anche perché, oltre ai rischi propri di ciascuna pianta, dietro l'angolo si nascondono anche pericoli più generali. Come le contaminazione che, racconta in dettaglio Ernst nel suo libro, può arrivare da due fronti. Da un lato, quella con sostanze farmaceutiche: principi attivi di sintesi potrebbero essere deliberatamente introdotti in un prodotto per ottenere l'effetto desiderato. Dall'altro ci sono le contaminazioni accidentali e pericolose. Per esempio, quella con metalli pesanti, con erbicidi o pesticidi. 

Il fito-Far west presenta molti rischi, ma il valore delle piante per la medicina è troppo prezioso. Anche la scienza più rigorosa lo ha dimostrato e sembrerebbe sufficiente applicare le precauzioni del buon senso: consultare il medico, rivogersi a rivenditori autorizzati, ricordarsi di dire bene a chi prescrive o consiglia il fitofarmaco che malattie abbiamo e quali altre terapie stiamo facendo.


di Valentina Murelli

fonte:espresso.repubblica.it

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