L’affidabilità del test del Psa nella diagnosi del cancro alla prostata? «Poco più che tirare una monetina in aria». È clamorosa la dichiarazione del professor Richard Ablin, docente di Immunologia alla University of Arizona College of Medicine che quarant’anni fa scoprì il test più comune per questa forma di tumore. Sul «New York Times» ora ammette l’inutilità dell’esame nella grande maggioranza dei casi.
Peggio: «È un costoso disastro nel campo della salute pubblica», scrive, rivolgendosi anzitutto ai colleghi. «Non avrei mai potuto immaginare che la mia scoperta avrebbe portato a un disastro regolato dalla legge del profitto».
La tesi è semplice, e per la verità già sostenuta da una parte della comunità scientifica, prima di questa confessione pubblica: «Soltanto in America - scrive il professor Ablin - il bilancio degli screening con il test del Psa è di circa tre miliardi di dollari», ma l’esame produce molti falsi positivi e troppo allarmismo: «Malgrado gli americani abbiano il 16 per cento di probabilità di andare incontro a una diagnosi di cancro con questo test, solo il 3 per cento muore di questa malattia». Gli ultra-sessantacinquenni che sviluppano il tumore della prostata «hanno più probabilità di morire “con” un carcinoma prostatico che “per” un carcinoma prostatico». Un’infezione, l’uso di medicinali a base di ibuprofene o un semplice gonfiore possono portare a un aumento del Psa, «ma l’esito positivo del test conduce invece sovente verso dolorosissime biopsie, o a un intervento chirurgico, oppure a sottoporsi a radiazioni invasive».
Psa significa «antigene prostatico specifico», un macromolecola capace di reagire con i prodotti del sistema immunitario: presente nel sangue, aumenta in presenza di una malattia della prostata. E’ utilizzato dal 1970 come marcatore per eccellenza.
Per il professor Ablin il test del Psa è appropriato solo dopo una diagnosi di cancro, per valutare il rischio di recidiva, o come campanello d’allarme nelle persone che hanno una storia familiare di carcinoma prostatico. Ma applicare il test a tutte le persone oltre una certa età sarebbe una semplice perdita di tempo e di denaro: non misura il livello di gravità della malattia.
«Uomini con valori bassi di Psa possono comunque sviluppare un cancro della prostata, mentre persone che hanno un valore alto possono essere del tutto sani», dice il professore, invitando gli urologi di tutto il mondo a ridurre il numero di esami e di prescrizioni. «Meglio - spiega - il vecchio test, quello rettale». D’altronde, in un periodo tra i 7 e i 10 anni di distanza - rivela uno studio americano citato dallo stesso professore - l’esame dell’enzima prostatico non ha ridotto il tasso di mortalità degli uomini sopra i 55 anni». E neppure un esito meno negativo di un’analoga indagine in Europa giustificherebbe lo screening di massa e il «disastro economico» che ha spinto d’improvviso Richard Ablin a tornare dichiaratamente sui propri passi.
MARCO ACCOSSATO
marco.accossato@lastampa.it
fonte:http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/scienza/grubrica.asp?ID_blog=38&ID_articolo=1679&ID_sezione=243&sezione=
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