martedì

Malattie a Trasmissione Sessuale



TUMORI: ''ONCOLOGIA IN ROSA'', ASSISTENZA PROMOSSA, STRUTTURE ANCORA DA MIGLIORARE

L’affermarsi di una sempre maggiore libertà sessuale ha facilitato negli ultimi anni la diffusione, anche tra le adolescenti, di malattie ginecologiche su base infettiva.
Nell’ambito delle malattie a trasmissione sessuale, il bombardamento mediatico ha focalizzato prevalentemente l’attenzione dell’opinione pubblica sulle infezioni da HIV, che tuttavia ne rappresentano (fortunatamente) la netta minoranza.

L’infezione da HIV assume nelle donne un rilievo particolare per il problema della possibile trasmissione della patologia al nascituro, durante la gravidanza o al momento del parto. Una corretta profilassi farmacologica con farmaci antivirali è tuttavia in grado di prevenire nella gran parte dei casi questa drammatica eventualità.
Di rilevanza epidemiologica nettamente superiore in ambito ginecologico sono le cervico-vaginiti infettive. Esse (in particolare le vaginiti batteriche), quando non correttamente curate, possono predisporre alla malattia infiammatoria pelvica (PID-pelvic inflammatory disease), al parto prematuro o alla infertilità.
La cervico-vaginite, caratterizzata clinicamente da prurito o bruciore vaginale e vulvare, perdite vaginali, disuria, dispareunia, è un disturbo ginecologico di frequente riscontro nella pratica ambulatoriale. Negli Stati Uniti è stato stimato che ogni anno dieci milioni di visite si riferiscono a questa malattia. Essa rappresenta senza dubbio la causa più frequente di perdite vaginali patologiche. 
La cervico-vaginite è una patologia infiammatoria che riconosce più spesso una causa infettiva, micetica, protozoaria, batterica o virale (Candida species, Trichomonas vaginalis, Gardnerella vaginalis e, quando sia presente anche una componente cervicitica, Mycoplasma hominis, Neisseria gonorrhoeae, Chlamydia trachomatis, Herpesvirus genitale – HSV2, Human Papilloma Virus - HPV). 
Va ricordato tuttavia che non sempre le cervico-vaginiti hanno una genesi infettiva. Di frequente riscontro sono anche le vaginite atrofiche delle donne in menopausa, legate alla prolungata carenza di estrogeni. Meno usuali sono invece le vaginiti irritative o allergiche (da saponi, deodoranti, tamponi vaginali, lattice dei profilattici) e le vaginiti su base psicosomatica.
Le cervico-vaginiti infettive sono spesso recidivanti, con sintomi e segni ricorrenti. 
La Candidosi genitale, ad esempio, può essere recidivante in quasi una donna su venti. La sola presenza di Candida, segnalata magari dal tampone cervico-vaginale o dal Pap test, non deve tuttavia indurre il medico ad instaurare un trattamento, se la donna è asintomatica. Questo micete infatti abita normalmente in modo saprofitico, senza quindi provocare danni, nel canale vaginale e sull’area pèrianale in circa il 30% delle donne. Nelle pazienti sintomatiche con episodi sporadici (caratterizzati da prurito intenso vulvare e vaginale e da perdite biancastre inodori) si possono usare terapie topiche con azolici, che sono efficaci nell’ 85% dei casi, quando si usano a dosi e per tempi adeguati. L’abuso dei farmaci specifici, l’autosomministrazione inadeguata ed il sottodosaggio sono causa di persistenza, resistenze e ricorrenza delle candidosi. Nelle donne con forme ricorrenti di candidosi (ad esempio pazienti diabetiche, che usano cortisonici, immunodepresse o affette da Candida glabrata), la terapia deve essere di durata sufficientemente lunga (7-14 giorni), topica o, meglio, orale. Per le terapie orali va posta attenzione alle possibili interazioni con altre terapie mediche. 
In presenza di infezioni ginecologiche da Candida, generalmente non è necessario trattare il partner (anche se nella pratica clinica questo viene in realtà spesso fatto), se non nei casi in cui questi sia sintomatico, ovvero nelle forme ricorrenti. 
La chemioprofilassi, finalizzata a prevenire l’insorgenza di nuovi episodi cervico-vaginitici in donne con candidosi recidivante, è indicata solo allorché la candidosi risulti accertata laboratoristicamente, sia resistente alle terapie eradicanti e risulti ricorrente per più di 6 mesi, specie se in pazienti immunodepresse. La terapia preventiva va continuata per 6 mesi, ad esempio con fluconazolo settimanale.
E’ opportuno sicuramente fornire in questa sede alcuni semplici consigli, che possono risultare utili al fine di ridurre la frequenza delle cervico-vaginiti, di tipo infettivo o irritativo: gli indumenti traspiranti e non troppo attillati sono da preferire; l’igiene intima deve essere accurata, anche se non eccessiva, ed attuata con prodotti che rispettino l’integrità delle mucose genitali; l’igiene sessuale va curata in modo attento e scrupoloso.
Per concludere, riteniamo utile un accenno al legame tra infezioni genitali da HPV (Human Papillomavirus) e neoplasie femminili. E’ ormai stato ampiamente dimostrato da numerosissimi studi che l’infezione genitale da parte di ceppi oncogenici di HPV (il cui DNA può essere ricercato attraverso appositi test su materiale prelevato dallo striscio cervico-vaginale) predispone allo sviluppo di un carcinoma della cervice uterina. Esistono più di 100 differenti sierotipi di HPV, tuttavia solo 15 di essi sono risultati essere associati al tumore cervicale. Per tale motivo, mentre la gran parte delle pazienti con carcinoma della cervice uterina presenta l’HPV, non tutte le donne affette da HPV sviluppano il tumore. In pazienti che presentino al Pap test un esame citologico dubbio (“atypical squamous cells undetermined significance – ASCUS”), la ricerca della presenza dell’HPV-DNA consente di selezionare i soggetti da sottoporre a colposcopia ed esame bioptico, in quanto a maggior rischio di essere affetti da una neoplasia del collo dell’utero. Secondo quanto rilevato da ricercatori dell’Università di Innsbruck, in uno studio presentato sul Journal of Clinical Virology, in pazienti con infezione da ceppi oncogenici di HPV a livello della cervice uterina il trasporto del virus attraverso il circolo ematico potrebbe innescare un processo carcinogenetico anche a carico della ghiandola mammaria, con sviluppo successivo di una neoplasia della mammella. Si fa strada dunque una ipotesi virale (infezione genitale da HPV, con successiva diffusione al seno) anche per la eziopatogenesi del carcinoma mammario. Tale ipotesi è confermata ulteriormente da uno studio australiano pubblicato sul British Journal of Cancer (Kan CY et al.: "Identification of human papillomavirus DNA gene sequences in human breast cancer”, Br J Cancer. 2005 Oct 17;93(8):946-8)

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